Un po' di Israele (1993)

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La prima foto raffigura il Muro del Pianto. Possono avvicinarsi solo gli ebrei; infatti l'area adiacente è transennata. Non solo, ma il Muro stesso è diviso in due parti: in quella più grande pregano gli uomini, nella restante le donne e gli handicappati.

La seconda foto ritrare la poco sacra famiglia...

La terza la sottoscritta in un momento di pausa...

La quarta foto rappresneta la chiesa del Santo Sepolcro, l'ingresso...

La quinta foto riporta l'ingresso del Santo Sepolcro. Non siamo potuti entrare perchè c'è sempre la fila e il nostro tempo era limitatissimo. Ci entrai nel viaggio successivo, che poi vi racconterò.

La sesta fotografia mostra la cupola d'oro della Moschea della Roccia, in via di ristrutturazione. Nel secondo viaggio era terminata ed era una cosa splendida. La fotografai da uno spioncino...

La settima foto è la chiesa di Nazareth.

Ed ecco il resoconto del viaggio, effettuato in Israele nel 1993 per disputarei campionati internazionali di pallavolo Under 20, avendo vinto la nostra squadra il campionato nazionale.

L'articolo lo scrissi, al nostro ritorno, per il mensile della polisportiva.
Era il 1993 e forse le cose sono da allora cambiate, ma non credo, e se lo sono state sono certa che sia stato per il peggio.


"Militari e fiori: se dovessi condensare in due sole parole la prima impressione avuta sulla terra di Israele, queste sarebbero le più appropriate, alle quali potrei aggiungere controlli e diffidenza.
Ma andiamo per ordine. I militari sono dappertutto, così come i fiori. Non c’è angolo di strada, fermata di autobus, via o piazza in cui non spicchino le verdi divise militari. Questi, tutti giovanissimi, girano sempre in coppia e armati di mitragliatore; le donne, tantissime anche loro, sono invece disarmate.
Anche i fiori sono dappertutto: non c’è casa, aiuola, spartitraffico o solo un pezzetto di terreno, qua e là, che non si facciano notare per le loro variopinte coltivazioni floreali. Mi viene da pensare, con un profondo senso di amarezza, che qui, di acqua, ce n’è in abbondanza…
Controlli e diffidenza: dei primi ne abbiamo subiti tanti, fin dalla nostra partenza all’aeroporto di Fiumicino. Israele è l’unica nazione che effettua, con proprio personale, i controlli sui bagagli e sulle persone dirette in quella terra.
Il pullman che porta i passeggeri al terminal dell’aereo è scortato da un autoblindo; una macchina della compagnia aerea El Al affianca, al lato della pista, l’aereo fino al momento del suo decollo. Un elicottero, inoltre, sorvola ininterrottamente l’aeromobile dal momento del suo arrivo fino alla successiva partenza.
Ancora più lunghi e accurati sono stati i controlli e le domande a cui siamo stati sottoposti all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv al nostro ritorno, per la paura che, durante il soggiorno, avessimo avuto contatti con i palestinesi. Cosa, quest’ultima, veramente impossibile in quanto, come già si sapeva dalla stampa, in quel periodo erano segregati nei “loro” territori occupati.
Veniamo ora alla diffidenza. Non avendo trovato, per lo scarso interessamento dell’organizzazione sportiva della quale eravamo ospiti, né un pullman né altro mezzo per arrivare a Gerusalemme, ci siamo arrangiati ed abbiamo effettuato il tragitto con mezzi pubblici. Tralascio le difficoltà incontrate; basti pensare che, partiti da Cesarea alle ore 10.30, siamo arrivati nella città santa alle ore 15. I chilometri percorsi sono stati poco più di 150.
Una volta colà giunti, abbiamo chiesto indicazioni per recarci nella parte storica, che raccoglie le massime testimonianze di tre religioni: il Santo Sepolcro per quella cristiana, il Muro del Pianto per quella ebrea e la moschea della Roccia per i musulmani. Nessuno, però, ci sapeva (anzi, ci voleva) dare questa banale informazione. L’arte di arrangiarsi tipicamente italiana ci ha comunque permesso di raggiungere ugualmente la nostra meta. Ma il tempo trascorreva inesorabilmente e così, tutto di corsa, abbiamo potuto vedere, ma solo da lontano perché cristiani, il Muro del Pianto, mentre la moschea della Roccia era chiusa ai turisti perché, in quel momento, pregavano gli islamisti.
Dopo aver superato un altro posto di blocco con perquisizione delle borse e passaggio sotto il metal detector (un primo lo avevamo già subito all’ingresso della spianta dove si trova il Muro del Pianto) entrammo dentro le mura della vecchia città, nella parte abitata da arabo-cristiani. Una breve visita al Santo Sepolcro, alcuni acquisti super contrattati nel bazar e… altre tre ore di pullman per tornare a Cesarea, nel centro sportivo dell’Hapoel (situato all’interno di un kibbutz) del quale eravamo ospiti.
Il giorno dopo abbiamo visitato Nazareth ed il lago di Tiberiade: il tutto fra magnifiche colline verdi, naturalmente tanti fiori (impressionante il viale di alberi fioriti di mimose) e tante, tante bandiere bianche con al centro la stella azzurra a sei punte di Davide.
Dopo questo breve assaggio la voglia di tornare è tanta: se Parigi val bene una messa, Gerusalemme vale, tutti insieme, controlli, militari e diffidenza.
Comunque, se non fosse storia di tutti i giorni, Israele non ha dato certamente l’impressione di una nazione in guerra. E’ vero, del resto, che sia Cesarea (una frazione di Tel Aviv), sia Gerusalemme senza palestinesi, non sono posti di frontiera. Ma è altrettanto vero che nei territori occupati ai turisti è vietato avvicinarsi.
Non ci rimane che la speranza, e l’augurio, affinché il prossimo viaggio possa essere effettuato con meno controlli e meno diffidenza, il che vorrebbe dire tornare in una nazione finalmente in pace; vedere per le strade di Gerusalemme più kefiah e meno militari; poter incontrare Feras, il nostro figlio adottivo, dal quale eravamo sì a pochi chilometri di distanza, materialmente, ma divisi dall’immensità della guerra.
Ecco il mio più grande dispiacere: essergli tanto vicina e non avergli potuto portare niente, né un messaggio di fratellanza, pace e solidarietà, né, tantomeno, un aiuto concreto.
Vorrei, a questo punto, esprimere un ultimo personale desiderio ed auspicio relativamente alla distribuzione dell’acqua: un po’ meno per i fiori israeliani, un po’ di più per gli orti palestinesi".

Franca, che meraviglia! grazie mille anche perchè il mio capo in questo momento è in viaggio per andare proprio in questi posti e così hai dato anche a me l'occasione di farmi un'idea. Che bellezze!

Appena posso vi racconto il secondo viaggio, fatto con un tour organizzato che comprendeva la Giordania e Gerusalemme...
Niente foto perchè feci solo il filmino...

Mamma mia, Franca! che invidia! hai fatto un sacco di viaggi bellissimi!!! ahahah, che ridere: la seconda ritrae la poco sacra famiglia!

Non ci crederai, ma nel secondo viaggio, quando visitammo l'interno del Sacro Sepolcro, e la chiesa di Betlemme, dove una stella ricorda il luogo dove nacque Gesù, anche mio marito, ateo, si è un poco commosso. La sacralità dei luoghi sono innegabili e ti prende una sensazione mistica che non puoi rinnegare.

Dai! anche tuo marito è ateo? anche il mio ragazzo, Paolo! però penso che anche lui in certi luoghi non rimarrebbe indifferente!

Infatti è impossibile. Perchè la chiesa del Santo Sepolcro è gestita (non senza problemi) sia dagli ortodossi che dai cattolici (i francescani). Quando siamo entrati gli ortodossi cantavano i canti gregoriani... veramente uno spettacolo!

Che bellezze, Franca, ancora complimenti!