http://www.treccani.it/Portale/sito/lingua_italiana/speciali/fiction/alfieri.html
Riporto parte di un ottimo articolo di Gabriella Alfieri sulla lingua italiana popolare in voge in fiction e soap operas. Molto interessante, consigliato.
[......]
Un parlato oralizzato e rimodellante
Il parlato trasmesso della fiction si distingue tanto dal parlato programmato su scaletta dell’intrattenimento o dal parlato trascurato di talk show e reality, quanto dal parlato scritto per essere letto dell’informazione e della divulgazione (Diadori 1994, Alfieri Bonomi 2008). Rispetto al parlato recitato di teatro e cinema, è sottoposto a una più complessa rotazione mimetica per adattarsi alla più dinamica azione televisiva: modellato su quello spontaneo, viene trascritto nel copione per poi essere ri-parlato nella recitazione. Lo si può pertanto definire un parlato “oralizzato” (Alfieri 1997).
L’unico modo per accertare se l’italiano della fiction riproduca attendibilmente la lingua attuale in tutte le sue varietà è confrontarli, anche per misurarne l’effetto di riuso stilistico. Nella fiction dunque, forse più che in altri generi di programmi, la televisione si rivela uno “specchio a due raggi” di lingua (Simone 1987 e Masini 2003); semmai in questo caso, grazie anche al coinvolgimento emotivo del telespettatore nel “racconto elettronico”, si tratterà di un rispecchiamento ‘rimodellante’ e non semplicemente modellizzante.
Un italiano mimetico
In concreto l’italiano dei telefilm e delle soap operas si presenta realisticamente sagomato sull’italiano parlato, con aperture al dialetto, al linguaggio giovanile e all’italiano degli immigrati (interlingua), come nella seguente battuta di un ragazzo curdo: “Lo so, ma penso a mia famiglia. Tu ha perduto qualcuno, vero?” (Incantesimo). Le interferenze straniere si limitano a prestiti già ampiamente diffusi, come gli anglicismi week-end, feeling, stress, baby sitter, e i francesismi brochure, champagne, dépendance, équipe. Il dato nuovo è che termini e idiomatismi angloamericani filtrati dal doppiaggio affiorano nelle sceneggiature della fiction all’italiana: assolutamente con valenza positiva (“Io sono assolutamente disponibile” Vivere); essere pronto a (“Non posso dire di essere felice, no, però quantomeno sono pronta ad esserlo di nuovo”, Vivere), Non c’è problema (Incantesimo), o costrutti insoliti come Quando ero un ragazzino (Un posto al sole). È un caso emblematico della circuitazione rimodellante di cui sopra.
I fenomeni più significativi dell’italiano ristandardizzato si ritrovano tutti. Un medico in famiglia rappresenta un punto di osservazione privilegiato come produzione destinata a un pubblico esteso e socialmente composito, adeguatamente rappresentato dai personaggi della vicenda. Il giovane Ciccio impersona la sciolta colloquialità con un gli per loro: “Vi immaginate le facce dei miei amici se gli dico che mio padre si è fidanzato?”; Alice, prototipo della donna realizzata e giovanilista, affida alla sintassi marcata la propria disinvoltura espressiva: “E pensare che io un anellino all’ombelico me lo sarei messo volentieri”. Nonna Enrica interpreta una varietà di italiano formale aulico: “Eh, voglio arrivare al punto che, ove mio consuocero si sposasse con lei, quei poveri ragazzi non avrebbero più referenti”.Il parlato della colf Cettina alterna tra l’italiano popolare con malapropismi di maniera (triciclo per ‘riciclaggio’, apparato genecologico per ‘apparato riproduttore’), o con realistici errori come l’uso di ci per ‘gli’, e l’italiano regionale, marcato da napoletanismi (fetentona), o meridionalismi (azzeccare). Il congiuntivo, generalmente regolare (“Credi che solo perché adesso vivo con te abbia dimenticato quanto è difficile arrivare alla fine del mese” Un posto al sole), si arrende all’indicativo in casi di particolare enfasi, come la recriminazione di Alberto, deluso dallo zio Lele, contrario all’acquisto del motorino: “Questo è l’unico caso che sono contento che non sei mio padre”. Dove si segnala anche l’anacoluto con che polivalente. L’italiano dell’uso medio è comunque la misura espressiva di tutte le fiction seriali, benché con una certa discontinuità. Uno dei suoi tratti più evidenti, come l’imperfetto modale nel periodo ipotetico, diffusissimo nel parlato reale, è gestito con cautela dai dialoghisti, che lo usano ampiamente nelle più disimpegnate soap operas a programmazione diurna (“Se voleva, poteva venire qui con Stefano a lavorare un po’!” Centovetrine), ma lo giustappongono alla forma corretta col condizionale nelle fiction più impegnative della prima serata (“Se aveva la coscienza sporca sicuro me lo avrebbe detto…” Il commissario Montalbano).
La medietà espressiva anima il lessico, denso di genericismi (roba, fare, cosa, coso) e di colloquialismi (cavarsela, farcela), diminutivi, vezzeggiativi, elativi come l’imperversante un sacco di. Gli idiomatismi favoriscono la familiarità del telespettatore con la storia: dare una mano, essere in alto mare, mettere in piazza, metterci un attimo, far cilecca, ecc. Non sono infrequenti le cadute nello stile artefatto (“Se vuole trovare un capro espiatorio su cui buttare il suo dolore e attenuare la sua sofferenza faccia pure, ma non finga di non conoscere la verità”, Incantesimo). Il turpiloquio non è più un tabù: si va da termini attenuati, come casino o schifo, a termini più crudi come bastardo, stronza, c***.Ma è rappresentato anche il lessico settoriale di ambito prevalentemente medico e giuridico.
Se Un medico in famiglia è un valido ma raro esempio di corretta distribuzione degli stili sociali, nella maggior parte dei casi la simulazione del parlato-parlato si risolve in un registro indifferenziato per i parlanti di qualunque livello. Così in Incantesimo i personaggi del jet set e gli emarginati usano lo stesso italiano neostandard, persino nella dizione: tutt’al piùun medico altoborghese si lascia scappare un informale mia mamma, e un sequestratore un indicativo per congiuntivo: “non voglio che ti vede nessuno”. Solo i borgatari dispongono di un’espressività realistica: “Guarda come m’hanno conciato! / ma che state a fa’ / oh! / m’hanno menato!”
La derivazione della fiction televisiva dalla letteratura seriale è sancita dallo stile sentenzioso, che realizza la funzione etico-didascalica di trasmettere la “morale della favola” e quella modellizzante di favorire l’identificazione spettatore-personaggi. Anche qui si può attingere al fraseggio sentimentale di Incantesimo (“È passato tanto tempo! Il tempo attenua tutto, e poi a che cosa serve continuare a provare rancore e rabbia! Non aiuta e non fa passare il dolore!”), e ai tormentoni di nonno Libero (“Una parola è troppa e due sono poche”).
Il dialetto nella fiction
Nella scuola teatro dell’era dello sceneggiato il ruolo del dialetto era univocamente tipizzante. Così lingua e dialetto si opponevano diametralmente, con puristica traduzione simultanea ne Il mulino del Po (“Ne sum content, non siamo contenti”), o con iperveristica riproduzione integrale nel Mastro-don Gesualdo di Vaccari. Nella fase intermedia affiorano gli italiani regionali, nella pronuncia ma anche nel lessico e nella sintassi, come in Un posto al sole, o con maggior peso caratterizzante nel registro idiomatico de La piovra (“Ma diciamo che il mafioso... rispettava, voleva essere rispettato, era un uomo coraggioso, che non sopportava la mosca al naso....”). Nella fiction attuale infine le varietà locali compaiono in misura pari alle altre varietà sociali nella simulazione dell’italiano contemporaneo, con l’eccezione dell’ipercaratterizzato Montalbano. È quanto del resto era già avvenuto nel cinema a partire dal dopoguerra, in cui la componente dialettale aveva via via perduto il ruolo caratterizzante di origine teatrale per assumere quello più realistico di fattore di rispecchiamento sociolinguistico (Raffaelli 1983). Semmai nel parlato seriale del piccolo schermo si intensifica la procedura, frequentissima nel parlato reale, del code switching (commutazione di codice funzionale al discorso): “Vui pazziate! ma vi pare che se c’entravo qualcosa i’ me ne turnava a casa accussì! ve l’ho detto! pe’ fammi beccare accussì….” (La squadra); “Il sangue mio ci desi a vossia / mio! (Il commissario Montalbano).
“Parlano come noi!”: l’italiano della fiction in costume
Ne è passata di acqua sotto i ponti dagli epici sceneggiati che trasferivano sullo schermo l’italiano letterario, aulico e imparruccato, ma storicamente autentico: nelle odierne fiction in costume l’ambientazione linguistica è approssimativa o addirittura anacronistica. Così in Orgoglio (Rai) il parlato risulta fin troppo uniforme sul piano degli stili sociali, e solo allo scopo di tipizzare una macchietta, come nel caso del piccolo Sasà, l’italiano dei personaggi popolari è intercalato dal dialetto (“E comme no! ’na vagliona, perdonatemi, ’na signorina bella come voi fa sempre piacere averla ’n capo, e poi voi siete simpaticissima, date retta a me”). Una tenue ricerca di verosimiglianza epocale si avverte nel ricorso ad aulicismi (patire per subire: “l’incidente di caccia che ho patito in gioventù”) o a toscanismi come uscio. Del tutto inattendibile nell’italiano di primo Novecento il non ci posso credere mutuato dal doppiaggio, per il più autoctono non riesco a crederci. Poco credibile anche che i contadini rispondessero con un confidenziale Salve al Buon giorno della signorina altoborghese. Ancor più vistosi gli errori di datazione del lessico: così gazebo, attestato in inglese per la prima volta nel 1752, ma in italiano solo nel 1963, è usato disinvoltamente nei dialoghi di Elisa di Rivombrosa, produzione Mediaset ambientata nel Settecento. Anche in questo testo gli stili sociali risultano fin troppo uniformi, e il parlato della servitù, presumibilmente dialettofona, si caratterizza per sporadici affioramenti di substandard come te soggetto (“Perché te ti stai mettendo in un brutto pasticcio”), o per un neostandard dai tratti spiccatamente colloquiali, come il ci attualizzante (“Il signor conte… c’ha un certo/ interesse per te), o il che polivalente (“Ve ne venite fuori che ripartite”). Scontata la terminologia epocale sul fronte sociopolitico (maestà, sovrano, nobili, console, contessa, contino, cavaliere, eccellenza, servi, dama di compagnia, malcontento, privilegi, briganti), militare (divisa, soldato, scorta), o filosofico (lezioni di Illuminismo). Non a caso le inchieste sull’audience curate da Milly Buonanno fanno rilevare una frustrazione nelle aspettative del pubblico, anche meno colto, deluso dal fatto che i personaggi di queste fiction in costume “parlano come noi”.
Una lingua credibile
Nonostante qualche approssimatività, sanabile con una più adeguata preparazione socio- e storico-linguistica degli sceneggiatori, dunque l’italiano della fiction attuale riproduce credibilmente la lingua contemporanea in tutte le sue varietà e in un ampio ventaglio di situazioni. Grazie alla televisione è nato forse un italiano “seriale”, duttile e vicino al parlato reale, dunque fruibile e godibile, grazie al coinvolgimento narrativo, per i consumatori della testualità televisiva. Ai fini di un apprendimento non passivo della lingua l’italiano oralizzato di soap operas e miniserie può perciò costituire una valida alternativa al parlato becero e sfrenato dei talk show e dei reality.
Riporto parte di un ottimo articolo di Gabriella Alfieri sulla lingua italiana popolare in voge in fiction e soap operas. Molto interessante, consigliato.
[......]
Un parlato oralizzato e rimodellante
Il parlato trasmesso della fiction si distingue tanto dal parlato programmato su scaletta dell’intrattenimento o dal parlato trascurato di talk show e reality, quanto dal parlato scritto per essere letto dell’informazione e della divulgazione (Diadori 1994, Alfieri Bonomi 2008). Rispetto al parlato recitato di teatro e cinema, è sottoposto a una più complessa rotazione mimetica per adattarsi alla più dinamica azione televisiva: modellato su quello spontaneo, viene trascritto nel copione per poi essere ri-parlato nella recitazione. Lo si può pertanto definire un parlato “oralizzato” (Alfieri 1997).
L’unico modo per accertare se l’italiano della fiction riproduca attendibilmente la lingua attuale in tutte le sue varietà è confrontarli, anche per misurarne l’effetto di riuso stilistico. Nella fiction dunque, forse più che in altri generi di programmi, la televisione si rivela uno “specchio a due raggi” di lingua (Simone 1987 e Masini 2003); semmai in questo caso, grazie anche al coinvolgimento emotivo del telespettatore nel “racconto elettronico”, si tratterà di un rispecchiamento ‘rimodellante’ e non semplicemente modellizzante.
Un italiano mimetico
In concreto l’italiano dei telefilm e delle soap operas si presenta realisticamente sagomato sull’italiano parlato, con aperture al dialetto, al linguaggio giovanile e all’italiano degli immigrati (interlingua), come nella seguente battuta di un ragazzo curdo: “Lo so, ma penso a mia famiglia. Tu ha perduto qualcuno, vero?” (Incantesimo). Le interferenze straniere si limitano a prestiti già ampiamente diffusi, come gli anglicismi week-end, feeling, stress, baby sitter, e i francesismi brochure, champagne, dépendance, équipe. Il dato nuovo è che termini e idiomatismi angloamericani filtrati dal doppiaggio affiorano nelle sceneggiature della fiction all’italiana: assolutamente con valenza positiva (“Io sono assolutamente disponibile” Vivere); essere pronto a (“Non posso dire di essere felice, no, però quantomeno sono pronta ad esserlo di nuovo”, Vivere), Non c’è problema (Incantesimo), o costrutti insoliti come Quando ero un ragazzino (Un posto al sole). È un caso emblematico della circuitazione rimodellante di cui sopra.
I fenomeni più significativi dell’italiano ristandardizzato si ritrovano tutti. Un medico in famiglia rappresenta un punto di osservazione privilegiato come produzione destinata a un pubblico esteso e socialmente composito, adeguatamente rappresentato dai personaggi della vicenda. Il giovane Ciccio impersona la sciolta colloquialità con un gli per loro: “Vi immaginate le facce dei miei amici se gli dico che mio padre si è fidanzato?”; Alice, prototipo della donna realizzata e giovanilista, affida alla sintassi marcata la propria disinvoltura espressiva: “E pensare che io un anellino all’ombelico me lo sarei messo volentieri”. Nonna Enrica interpreta una varietà di italiano formale aulico: “Eh, voglio arrivare al punto che, ove mio consuocero si sposasse con lei, quei poveri ragazzi non avrebbero più referenti”.Il parlato della colf Cettina alterna tra l’italiano popolare con malapropismi di maniera (triciclo per ‘riciclaggio’, apparato genecologico per ‘apparato riproduttore’), o con realistici errori come l’uso di ci per ‘gli’, e l’italiano regionale, marcato da napoletanismi (fetentona), o meridionalismi (azzeccare). Il congiuntivo, generalmente regolare (“Credi che solo perché adesso vivo con te abbia dimenticato quanto è difficile arrivare alla fine del mese” Un posto al sole), si arrende all’indicativo in casi di particolare enfasi, come la recriminazione di Alberto, deluso dallo zio Lele, contrario all’acquisto del motorino: “Questo è l’unico caso che sono contento che non sei mio padre”. Dove si segnala anche l’anacoluto con che polivalente. L’italiano dell’uso medio è comunque la misura espressiva di tutte le fiction seriali, benché con una certa discontinuità. Uno dei suoi tratti più evidenti, come l’imperfetto modale nel periodo ipotetico, diffusissimo nel parlato reale, è gestito con cautela dai dialoghisti, che lo usano ampiamente nelle più disimpegnate soap operas a programmazione diurna (“Se voleva, poteva venire qui con Stefano a lavorare un po’!” Centovetrine), ma lo giustappongono alla forma corretta col condizionale nelle fiction più impegnative della prima serata (“Se aveva la coscienza sporca sicuro me lo avrebbe detto…” Il commissario Montalbano).
La medietà espressiva anima il lessico, denso di genericismi (roba, fare, cosa, coso) e di colloquialismi (cavarsela, farcela), diminutivi, vezzeggiativi, elativi come l’imperversante un sacco di. Gli idiomatismi favoriscono la familiarità del telespettatore con la storia: dare una mano, essere in alto mare, mettere in piazza, metterci un attimo, far cilecca, ecc. Non sono infrequenti le cadute nello stile artefatto (“Se vuole trovare un capro espiatorio su cui buttare il suo dolore e attenuare la sua sofferenza faccia pure, ma non finga di non conoscere la verità”, Incantesimo). Il turpiloquio non è più un tabù: si va da termini attenuati, come casino o schifo, a termini più crudi come bastardo, stronza, c***.Ma è rappresentato anche il lessico settoriale di ambito prevalentemente medico e giuridico.
Se Un medico in famiglia è un valido ma raro esempio di corretta distribuzione degli stili sociali, nella maggior parte dei casi la simulazione del parlato-parlato si risolve in un registro indifferenziato per i parlanti di qualunque livello. Così in Incantesimo i personaggi del jet set e gli emarginati usano lo stesso italiano neostandard, persino nella dizione: tutt’al piùun medico altoborghese si lascia scappare un informale mia mamma, e un sequestratore un indicativo per congiuntivo: “non voglio che ti vede nessuno”. Solo i borgatari dispongono di un’espressività realistica: “Guarda come m’hanno conciato! / ma che state a fa’ / oh! / m’hanno menato!”
La derivazione della fiction televisiva dalla letteratura seriale è sancita dallo stile sentenzioso, che realizza la funzione etico-didascalica di trasmettere la “morale della favola” e quella modellizzante di favorire l’identificazione spettatore-personaggi. Anche qui si può attingere al fraseggio sentimentale di Incantesimo (“È passato tanto tempo! Il tempo attenua tutto, e poi a che cosa serve continuare a provare rancore e rabbia! Non aiuta e non fa passare il dolore!”), e ai tormentoni di nonno Libero (“Una parola è troppa e due sono poche”).
Il dialetto nella fiction
Nella scuola teatro dell’era dello sceneggiato il ruolo del dialetto era univocamente tipizzante. Così lingua e dialetto si opponevano diametralmente, con puristica traduzione simultanea ne Il mulino del Po (“Ne sum content, non siamo contenti”), o con iperveristica riproduzione integrale nel Mastro-don Gesualdo di Vaccari. Nella fase intermedia affiorano gli italiani regionali, nella pronuncia ma anche nel lessico e nella sintassi, come in Un posto al sole, o con maggior peso caratterizzante nel registro idiomatico de La piovra (“Ma diciamo che il mafioso... rispettava, voleva essere rispettato, era un uomo coraggioso, che non sopportava la mosca al naso....”). Nella fiction attuale infine le varietà locali compaiono in misura pari alle altre varietà sociali nella simulazione dell’italiano contemporaneo, con l’eccezione dell’ipercaratterizzato Montalbano. È quanto del resto era già avvenuto nel cinema a partire dal dopoguerra, in cui la componente dialettale aveva via via perduto il ruolo caratterizzante di origine teatrale per assumere quello più realistico di fattore di rispecchiamento sociolinguistico (Raffaelli 1983). Semmai nel parlato seriale del piccolo schermo si intensifica la procedura, frequentissima nel parlato reale, del code switching (commutazione di codice funzionale al discorso): “Vui pazziate! ma vi pare che se c’entravo qualcosa i’ me ne turnava a casa accussì! ve l’ho detto! pe’ fammi beccare accussì….” (La squadra); “Il sangue mio ci desi a vossia / mio! (Il commissario Montalbano).
“Parlano come noi!”: l’italiano della fiction in costume
Ne è passata di acqua sotto i ponti dagli epici sceneggiati che trasferivano sullo schermo l’italiano letterario, aulico e imparruccato, ma storicamente autentico: nelle odierne fiction in costume l’ambientazione linguistica è approssimativa o addirittura anacronistica. Così in Orgoglio (Rai) il parlato risulta fin troppo uniforme sul piano degli stili sociali, e solo allo scopo di tipizzare una macchietta, come nel caso del piccolo Sasà, l’italiano dei personaggi popolari è intercalato dal dialetto (“E comme no! ’na vagliona, perdonatemi, ’na signorina bella come voi fa sempre piacere averla ’n capo, e poi voi siete simpaticissima, date retta a me”). Una tenue ricerca di verosimiglianza epocale si avverte nel ricorso ad aulicismi (patire per subire: “l’incidente di caccia che ho patito in gioventù”) o a toscanismi come uscio. Del tutto inattendibile nell’italiano di primo Novecento il non ci posso credere mutuato dal doppiaggio, per il più autoctono non riesco a crederci. Poco credibile anche che i contadini rispondessero con un confidenziale Salve al Buon giorno della signorina altoborghese. Ancor più vistosi gli errori di datazione del lessico: così gazebo, attestato in inglese per la prima volta nel 1752, ma in italiano solo nel 1963, è usato disinvoltamente nei dialoghi di Elisa di Rivombrosa, produzione Mediaset ambientata nel Settecento. Anche in questo testo gli stili sociali risultano fin troppo uniformi, e il parlato della servitù, presumibilmente dialettofona, si caratterizza per sporadici affioramenti di substandard come te soggetto (“Perché te ti stai mettendo in un brutto pasticcio”), o per un neostandard dai tratti spiccatamente colloquiali, come il ci attualizzante (“Il signor conte… c’ha un certo/ interesse per te), o il che polivalente (“Ve ne venite fuori che ripartite”). Scontata la terminologia epocale sul fronte sociopolitico (maestà, sovrano, nobili, console, contessa, contino, cavaliere, eccellenza, servi, dama di compagnia, malcontento, privilegi, briganti), militare (divisa, soldato, scorta), o filosofico (lezioni di Illuminismo). Non a caso le inchieste sull’audience curate da Milly Buonanno fanno rilevare una frustrazione nelle aspettative del pubblico, anche meno colto, deluso dal fatto che i personaggi di queste fiction in costume “parlano come noi”.
Una lingua credibile
Nonostante qualche approssimatività, sanabile con una più adeguata preparazione socio- e storico-linguistica degli sceneggiatori, dunque l’italiano della fiction attuale riproduce credibilmente la lingua contemporanea in tutte le sue varietà e in un ampio ventaglio di situazioni. Grazie alla televisione è nato forse un italiano “seriale”, duttile e vicino al parlato reale, dunque fruibile e godibile, grazie al coinvolgimento narrativo, per i consumatori della testualità televisiva. Ai fini di un apprendimento non passivo della lingua l’italiano oralizzato di soap operas e miniserie può perciò costituire una valida alternativa al parlato becero e sfrenato dei talk show e dei reality.
Dom Ago 21 2016, 11:47 Da Annalisa
» Mi sono messa in pari
Dom Ago 07 2016, 12:01 Da -francis-
» Puntata del 5 Agosto 2016
Ven Ago 05 2016, 12:21 Da Annalisa
» Puntata del 4 Agosto 2016
Gio Ago 04 2016, 10:46 Da Annalisa
» Puntata del 3 Agosto 2016
Mer Ago 03 2016, 11:33 Da Annalisa
» Puntata del 2 Agosto 2016
Mar Ago 02 2016, 11:47 Da Annalisa
» Puntata del 1 Agosto 2016
Lun Ago 01 2016, 12:17 Da Annalisa
» Intervista audio a Michele D'Anca (a cura di Aldo Oliva)
Ven Lug 29 2016, 15:31 Da Annalisa
» Puntata del 29 Luglio 2016
Ven Lug 29 2016, 12:21 Da Annalisa
» Puntata del 28 Luglio 2016
Gio Lug 28 2016, 11:47 Da Annalisa
» Puntata del 27 Luglio 2016
Mer Lug 27 2016, 11:47 Da Annalisa
» Puntata del 26 Luglio 2016
Mar Lug 26 2016, 12:12 Da Annalisa
» Puntata del 25 Luglio 2016
Lun Lug 25 2016, 13:14 Da Annalisa
» Puntata del 22 Luglio 2016
Ven Lug 22 2016, 11:29 Da Annalisa
» Puntata del 21 Luglio 2016
Gio Lug 21 2016, 11:39 Da Annalisa
» Puntata del 20 Luglio 2016
Mer Lug 20 2016, 11:44 Da Annalisa
» Puntata del 19 Luglio 2016
Mar Lug 19 2016, 11:15 Da Annalisa
» Puntata del 18 Luglio 2016
Lun Lug 18 2016, 11:54 Da Annalisa
» Non mi piace Laura
Sab Lug 16 2016, 20:54 Da -francis-
» Puntata del 14 Luglio 2016
Gio Lug 14 2016, 10:40 Da Annalisa
» Puntata del 13 Luglio 2016
Mer Lug 13 2016, 12:06 Da Annalisa
» Puntata del 12 Luglio 2016
Mar Lug 12 2016, 11:30 Da Annalisa
» Puntata dell'11 Luglio 2016
Lun Lug 11 2016, 10:41 Da Annalisa
» Puntata del 7 Luglio 2016
Ven Lug 08 2016, 12:05 Da Annalisa
» Puntata dell'8 Luglio 2016
Ven Lug 08 2016, 12:03 Da Annalisa
» Puntata del 6 Luglio 2016
Ven Lug 08 2016, 11:21 Da -francis-
» Puntata del 5 Luglio 2016
Mar Lug 05 2016, 12:57 Da Annalisa
» Puntata del 4 Luglio 2016
Lun Lug 04 2016, 11:34 Da Annalisa
» Puntata del 1 Luglio 2016
Ven Lug 01 2016, 12:07 Da Annalisa
» Puntata del 30 Giugno 2016
Gio Giu 30 2016, 20:35 Da -francis-
» Perchèèèèèèèè
Gio Giu 30 2016, 12:01 Da Annalisa
» Puntata del 29 Giugno 2016
Mer Giu 29 2016, 13:52 Da Annalisa
» Puntata del 28 Giugno 2016
Mar Giu 28 2016, 12:16 Da Annalisa
» Puntata del 27 Giugno 2016
Lun Giu 27 2016, 23:11 Da Annalisa
» Puntata del 24 Giugno 2016
Ven Giu 24 2016, 12:00 Da Annalisa
» Puntata del 23 Giugno 2016
Gio Giu 23 2016, 18:16 Da -francis-
» Puntata del 22 Giugno 2016
Gio Giu 23 2016, 12:26 Da Annalisa
» Ciaoooooo
Mar Giu 21 2016, 15:25 Da -francis-
» Puntata del 21 Giugno 2016
Mar Giu 21 2016, 11:49 Da Annalisa
» Puntata del 20 Giugno 2016
Lun Giu 20 2016, 18:39 Da -francis-
» Puntata del 17 Giugno 2016
Lun Giu 20 2016, 18:38 Da -francis-
» Puntata del 16 Giugno 2016
Gio Giu 16 2016, 13:19 Da Annalisa
» Puntata del 15 Giugno 2016
Mer Giu 15 2016, 12:04 Da Annalisa
» Carletto non c'è più
Mer Giu 15 2016, 12:02 Da Annalisa
» Puntata del 13 Giugno 2016
Mar Giu 14 2016, 17:39 Da perla
» Puntata del 14 Giugno 2016
Mar Giu 14 2016, 12:54 Da Annalisa
» Puntata del 10 Giugno 2016
Ven Giu 10 2016, 19:01 Da Annalisa
» Puntata del 9 Giugno 2016
Gio Giu 09 2016, 14:06 Da Annalisa
» Puntata dell'8 Giugno 2016
Mer Giu 08 2016, 14:02 Da Annalisa
» Puntata del 7 giugno 2016
Mer Giu 08 2016, 10:55 Da -francis-
» Centovetrine torna davvero!
Mer Mag 25 2016, 12:20 Da -francis-
» In estate le puntate di Centovetrine inedite?
Gio Apr 28 2016, 11:39 Da -francis-
» Il Commissario Montalbano
Mar Mar 15 2016, 12:42 Da -francis-
» Le puntate inedite di Centovetrine in onda in Albania su Top Channel. Canale 335 sul satellite
Lun Mar 07 2016, 11:00 Da perla
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